Da “Il Tirreno”
Ho conosciuto Menghino negli anni 90 quando anche io cominciai a far parte del mondo del carnevale con le maschere di gruppo e avevo bisogno di consigli per la realizzazione di mascheroni perché ero senza esperienza. Nel periodo di Carnevale ci si frequentava abbastanza spesso, veniva a trovarmi nel capannone dove lavoravo per darmi indicazioni poi si parlava sempre di pittura Era abbonato a delle riviste di arte e quindi conosceva il dibattito artistico che c’era in Italia e poi gli piaceva stare con i giovani.
Vedere oggi la bella mostra di Palazzo Paolina è un’importante operazione culturale perché é una rievocazione di un’epoca che ora non c’è più, legata ai colori semplici e concreti; Menghino con le sue opere ha raccontato con tutta sincerità la vita delle Darsene però ben lontana dalla visione drammatica di Viani. Lo scrive lui stesso: “Le mie figure di marinai di pescatori e le loro donne vogliono essere la descrizione della mia gente, della mia città”.
Ecco il mondo del pittore: le sue figure di lavoratori, i pescatori, vedove sedute nei salotti di casa e qui parlerei di poesia domestica. E’ testimone delle sensazioni più profonde frequentando i lavoratori, le sue tele esprimono l’energia e la dignità del lavoro, per questo si può dire che la sua è una pittura politica perché è interprete e custode dei lavoratori dei cantieri e per la sua grande sensibilità sociale.
La sua pittura è talmente autentica da trasmettere l’esperienza del vissuto. Davanti alle sue opere si respira l’odore delle darsene dei suoi abitanti, o le visioni del Carnevale per le vie della città dove lui, non dimentichiamo, è stato un personaggio tra i più importanti di questa manifestazione. Non nascondeva certo le sue idee di sinistra e nel carnevale è stato il primo a portare innovazioni e temi sulla satira politica.
Quello che a me sembra interessante artisticamente sono gli “errori” e le “sproporzioni “soprattutto delle mani e dei piedi che non sono deformazioni grottesche o caricaturali, ma ci propone un racconto fiabesco e così l’atmosfera del quadro che riesce a creare ci conquista. Immagini che a mio avviso si avvicinano all’arte popolare che è stata la linfa di tutte le civiltà dell’uomo.
Il suo stile pittorico, privo dei rigidi canoni accademici, è arricchita di dettagli sorprendenti che narrano storie di vita quotidiana con visioni oniriche, è secondo me da accostare alla grande pittura naif ma per non essere frainteso intendo quella dei grandi pittori come Rousseau, Ligabue, Covili. Certo è che Menghino rappresenta un’esperienza unica nella pittura versiliese e toscana, perché la sua espressione originale non trova precedenti nella pittura della sua generazione.
Marco Dolfi.