Paolo Fornaciari

Da “Il Tirreno”

03/2013

Il ricordo di Giovanni Lazzarini “Menghino”, nel decennale della sua scomparsa, passa attraverso la sua dimensione di “mago” del Carnevale, indiscusso protagonista della sua storia per il suo personale contributo al filone della satira politica e di costume che da oltre 50 anni caratterizza la festa viareggina. E che in fondo continua a caratterizzarla anche oggi, visto il carro-omaggio “POTERE IN MASCHERA” realizzato quest’anno dai fratelli Bonetti su un bozzetto originario di Menghino e il carro “Le nozze con i fichi secchi “di Massimo Breschi, rivisitazione attualizzata di un complesso mascherato realizzato da Lazzarini nel 1965.

Giovanni Lazzarini si affaccia al mondo colorato dell’effimero di cartapesta negli anni 50 inserendosi già con le sue prime realizzazioni nel filone della satira, elemento caratterizzante del carnevale “moderno”, che divertiva le centinaia di migliaia di spettatori che ogni anno affollavano il circuito dei corsi mascherati e che faceva registrare interventi di censura nella progettazione delle maschere e di “purificazione” dei soggetti anche durante le sfilate, che portava carri e costruttori dal colore dei viali a mare al grigiore delle aule del tribunale.

In questa storia irrompe prepotentemente Giovanni Lazzarini con il carro “ARRIVA MAO”, realizzato insieme a Oreste Lazzari nel 1970, dove il leader cinese era rappresentato da un grosso gattone rosso intento a fare a pezzi l’immagine della bandiera americana. Una costruzione innovativa anche per l’utilizzo di una nuova materia prima nell’assemblaggio delle forme, il gatto rosso infatti era fatto di peluche, che fece scalpore, che rappresentò un “caso” diplomatico, con censura e denunce alla magistratura, che quell’anno si aggiudicò il primo premio e che poi è stato inserito nell’elenco dei “carri” del Novecento da ricordare.

Alla dimensione di carrista e “mago” del carnevale alla fine degli anni Settanta si aggiunge, fino a divenire preponderante, la dimensione artistica, poliedrica ed originale, come pittore, scultore carrista. La produzione artistica di Giovanni Lazzarini costituisce il racconto di una storia che ha come protagonisti Viareggio, il “suo mare”, i suoi marinai e pescatori, ripresi nella quotidianità di una vita scandita dalla fatica e dal dolore.

Un tempo, la Viareggio “di là dal molo” era popolata da una umanità umile e operosa. Gente accomunata dall’amore per il mare, dall’istinto per l’avventura, da un romantico sogno di libertà. Ingegno ed audacia il loro patrimonio genetico. L’ingegno dei Maestri d’Ascia e Calafati riversato nelle costruzioni di superbi velieri, insuperabili nell’armonia degli scafi e nella maestosità delle vele. L’audacia dei marinai e dei comandanti viareggini dimostrata nello sfidare il mare in un duello senza fine. Uomini semplici ed al tempo stesso umili titani, giganti e “vageri”, che Menghino ha ripreso nelle sue opere idealizzandone la forza interiore.

Come Lorenzo Viani, “Menghino” affonda le proprie radici nel popolo, come Viani ama i suoi “eroi” con devozione ed in comunanza di idee. Come Viani fa ricorso alla caricatura che considera la più genuina e profonda forma d’arte. Se i “vageri” subiscono senza ribellione un destino ostile, i personaggi di “Menghino” trovano il riscatto ad una esistenza di privazioni e di fatiche nel loro non comune lavoro.

Sono figure massicce, sbozzate a grandi masse in una materia dura, dalle mani nodose come ceppaie, con i volti bruciati dal sole e dal salmastro, segnati dal tempo e dal dolore. Uomini che il tempo e la natura ostile hanno reso di pietra, immortali, con l’animo puro di eterni fanciulli, di ingenui sognatori dagli occhi azzurri come il cielo, profondi come il mare. Giganti bambini, le cui mani forti sono capaci di una carezza lieve ad un gabbiano ferito, che seduti su uno scoglio affondano lo sguardo nell’orizzonte marino sognando ad occhi aperti.

Sognano il vento che gonfia le vele, isole lontane, nuove ed entusiasmanti avventure. Sognano una vita da uomini liberi, la loro vita. Rivivono ad occhi aperti il loro passato, sognano il loro futuro. Il sogno di “Menghino” è la sua pittura densa di forza interiore, quasi prorompente dai “limiti” delle tele, dagli accesi contrasti cromatici, dai volumi dilatati, da un corale messaggio di fratellanza, di anarchia e di speranza. Un messaggio che è testimonianza di amore verso una storia di cui egli era, con orgoglio, fiero.

Paolo Fornaciari 03/2013