Menghino, passione e intelletto
“Nelle sue interviste Giovanni Lazzarini, per tutti Menghino, lasciava talvolta trapelare un certo distacco verso il Carnevale. Nei primi anni settanta Luisa Petruni Cellai gli chiese se il Carnevale poteva considerarsi una forma d’arte e se lui stesso si sentisse un artista. La risposta fu negativa. Si considerava un operaio. Forse c’era un pizzico di civetteria intellettuale: in realtà Menghino è stato – oltre che un valente pittore e scultore- uno dei più interessanti costruttori del Carnevale del dopoguerra. E l’affetto per la manifestazione era in lui radicato e sincero.
Nato il 25 maggio del 1923, non fece studi regolari, ma fu un autodidatta infaticabile. Non smetteva mai di leggere, studiare, informarsi, confrontarsi. Era probabilmente tra i carristi più colti della sua generazione: certamente argomentava molto bene le sue ragioni ideali, le sue ispirazioni. Si sarebbe tentati di definirlo un carrista intellettuale. Intanto per lui il Carnevale era un aspetto non disgiunto dalla sua attività artistica di scultore e pittore. Schierato politicamente a sinistra, talvolta estrema, ma educato e moderato nelle maniere.
Il look: inappuntabile, quello di un gentleman inglese (riusciva a dipingere un intero carro – ricordano i familiari – senza procurarsi una macchiolina sulla tuta). Il soprannome “Menghino” gli veniva da un nonno, Orlando: la dinastia dei Lazzarini e anticamente denominata, all’usanza di Viareggio, i “Menghini”. La famiglia possedeva dai primi del Novecento un osteria in via Pucci. Il ristorante è stato gestito dai Lazzarini fino al 2011; il bar fino al 2017. Poi sono cambiati i gestori, ma senza fortuna: nel 2018 il locale ha chiuso definitivamente.
Ma torniamo al giovane Lazzarini. Fin da subito Giovanni rivela doti di eccellente disegnatore. Alle elementari disegna una farfalla così bene che il maestro non vuol credere che sia farina del suo sacco: “Dì la verità, l’hai ricalcata da una illustrazione”. “No, signor maestro, l’ho fatta io” protesta il bambino Lazzarini. Ma il severo insegnante non vuol credergli, e come si usava negli anni Trenta lo punisce con una bacchettata sulle dita.
Allora Giovanni la disegna di nuovo, per dimostrare che è stato proprio lui. Un’ingiustizia, insomma. E Menghino da adulto sarà allergico alle ingiustizie, anche nella sua militanza politica a favore degli operai. Comunque sin da giovane si dà all’arte, sfruttando un talento naturale che affina con studi, confronti e riflessioni. Svilupperà uno stile popolare e sofisticato insieme, che rimanda a tratti vianeschi sia per i temi trattati che per dettagli anatomici: i suoi operai e marinai hanno volti segnati e dita deformate dalla fatica.
Dopo essersi imbarcato insieme al padre, Mengino comincia ad occuparsi del locale di famiglia, ma ben presto ne delega la conduzione alla moglie, Bianca Bonetti, per inseguire i suoi stimoli artistici. L’incontro con il Carnevale era in un certo senso inevitabile. Anche per motivi familiari: la moglie Bianca è sorella di Uberto Bonetti, il creatore della maschera di Burlamacco.
La prima costruzione con la sua firma sfila nel corso del 1950; è la mascherata in gruppo “Fachiri con…turbanti”, realizzata con A. Pezzini e G.Bonetti; segue nel 1954 “Balle in famiglia”; l’anno successivo il passaggio ai complessi mascherati, un genere intermedio tra la mascherata e il carro, che ha dato tanto al Carnevale di Viareggio: ecco “La corsa del Gran Khan”; vengono quindi “Il trenino dei motivi” (1956, con le caricature della coppia musicale Xavier Cougat e Abbe Lane, allora in voga; i due vogliono conoscere personalmente Menghino) e “Una volta per uno” (1957).
Nel 1958 vince il primo premio con il complesso “Istantanee di Ferragosto”: una costruzione umoristica che esponeva quadretti di vita balneare: dai forestieri che per andare al mare si portano tuto da casa ai ragazzetti che spiano le donne dai buchi delle cabine: c’è perfino la sabbia vera incollata perchè il vento non la disperda. Nel 1959 altro primo premio con “Carnevale in livrea”, scene da “Miseria e Nobiltà”. Una carrozza è trainata da falsi destrieri: i figuranti portano zoccoli di legno per imitare il “Clop-clop” dei cavalli. Altri 3 anni con piazzamenti onorevoli (“Il mattatore”, secondo premio 1960; “La ritirata” terzo nel 1961 e “Palloni per bambini”, secondo nel 1962), poi l’esplosione “Caso Menghino” nel 1963.
Fino a “Porcherie d’oggi”, complesso censurato e addirittura sequestrato dalla Polizia, Lazzarini ha svolto un suo discorso carnevalesco puntando su un umorismo arguto, non banale. Il complesso del 1963 invece risente del nuovo clima (si va affermando la satira politica) e rappresenta una critica alle sofisticazioni alimentari che incappa nelle maglie della censura. E’ il funerale di un cavallo, stecchito a gambe all’aria e trasportato su una sorta di carretto funebre. Della sua carne verranno fatti insaccati: i maiali, scampati al macello officiano il corteo funebre. I suini sono abbigliati con simboli religiosi: toghe rosse e cotte, portano ceri, libri da messa e aspersorio. Il complesso viene subito letto come una feroce satira anticlericale.
L’11 febbraio del 1963 agenti della polizia giudiziaria sequestrano al capannone le sei figure di maiali-chierichetti. La denuncia parla “Offesa alla religione di Stato mediante vilipendio di cose”. Il Comitato Carnevale prende le distanze: la costruzione che Menghino ha portato in corso non corrisponde, si afferma, al bozzetto approvato. Il costruttore precisa di non essere stato guidato da intenti anticlericali che riterrebbe comunque sterili. In seguito ammetterà di aver voluto reagire con “Porcherie d’oggi” , al Carnevale di pura evasione (Aldo Belli, “Lungo la rotta dei giganti di carta”, Pezzini Editore Viareggio 1998). Menghino venne assolto ma il dado era tratto. La sterzata verso l’ispirazione politica si fa da questo punto in poi più evidente.
Nel 1965 un altro primo premio con “Le nozze con i fichi secchi”: Saragat e Moro lanciano bomboniere che contengono fichi secchi invece che confetti; quell’anno Menghino firma anche un altro complesso, “Italian Lover”, piazzato al secondo posto. Seguono “Donne e motori” nel 1966, fuori concorso, e “Fumo di Londra” ( primo premio del 1967), realizzato con Mario Francesconi, collegato al carro dallo stesso titolo di Carlo Francesconi e Sergio Barsella e come questo dedicato alla bruciante sconfitta dell’Italia contro la Corea del Nord nei Mondiali di calcio del 1966. Nel 1968 si attua il passaggio alla costruzione dei carri grandi.
Attenzione alla data: il 1968 è l’anno della contestazione globale e Lazzarini, in coppia con Oreste Lazzari, fa sfilare “Il padrone” , aggiudicandosi il secondo premio. Il padrone è l’industria, vista come un mostro meccanico che macina soldi. In testa le ciminiere delle fabbriche , le mani e la bocca come benne cariche di monete. Gli occhi sono due televisori sui quali campeggia la figura di Aldo Moro, leader della DC. Si notano, già in questo primo carro grande, oltre alla forte valenza politica e contestativa, la volontà di innovare, attraverso l’uso di materiali alternativi.
Tendenza più esplicita nel 1970, quando “Arriva Mao”, per tutti il “Gatto Mao”, firmato ancora con Oreste Lazzari, vince di slancio il primo premio. Anche qui carica politica e nuovi materiali: il gattone che simboleggia Mao Tse-Tung (o Zedong, secondo la grafia di oggi) era rivestito di peluche rosso, acquistato in quantità industriale nel Pratese. Il grosso felino faceva a pezzi la bandiera americana, e questo bastò per provocare un nuovo intervento censorio del Comitato, sia pure “soft”. I costruttori accettarono di annacquare un po’ i riferimenti anti-americani, modificando leggermente la bandiera . Il carro piacque anche a chi non aveva preferenze politiche di sinistra, fu premiato dalla giuria popolare ed è rimasto come una delle costruzioni più significative del Carnevale di Viareggio.
Giovanni Lazzarini avrebbe ricordato più tardi; Quell’anno gli operai mi fermavano in via Coppino per chiedermi se Mao sarebbe davvero arrivato in Italia”. 1971 un altro carro di contestazione, “Per un mondo nuovo” (terzo premio): mostrava il nostro pianeta tenuto in catene da una sorta di idra che rappresentava i poteri forti.
Nel 1972 forse il carro più politicamente esplicito della carriera di Menghino, “Avanti popolo” è un pugno nell’occhio anche dal punto di vista cromatico, un’enorme macchia scarlatta. Un magma – così lo descrive Aldo Belli nel volume citato – di teste e pugni rossi che stringono per la gola capitalisti, fascisti, maiali con il tight che tengono nelle zampe specchi che riflettono i volti di Agnelli, Pirelli, almirante, Fanfani, Colombo, e il funzionario di P.S. Calabresi. Carro collocato alla sinistra estrema, ebbe solo il sesto premio, subì interventi di censura del Comitato – che impose tre modifiche – e anche le rampogne dell’Unità.
I cromatismi del carro del 1973, “La grande corrida”, sono più controllati e sembrano prefigurare, con il ricorso al rosso e all’oro, l’evoluzione della fase finale della creatività di Menghino. Tori e arlecchini nelle vesti di matadores. Il carro si aggiudica il secondo premio. Nel 1974 “La piovra” (sesto premio) ha gli occhi a stelle e strisce e nei tentacoli il poter del petrolio; sub con mute rosse le danno la caccia; nel 1975 “La grande fregata” (secondo premio ), è la DC, una nave abitata da notabili dello scudocrociato che ha ridoto l’Italia in catene. Il ciclo dei carri di più spinta politicizzazione si conclude nel 1976 con il modesto “Carnevale al DDT” (quinto premio), che vede Berlusconi impegnato in un ‘ opera di disinfestazione contro, come si diceva allora, “i nemici del popolo”.
Dopo il Carnevale del 1976 inizia un lungo periodo di distacco di Lazzarini dalla manifestazione. Si getta nell’attività artistica, tiene mostre, realizza sculture, sempre vicino alle organizzazioni sindacali e ai temi sociali. Nei primi anni 80 si registra con ‘incontro con Cesare Zavattini (1902-1989), grande giornalista, scrittore, poeta e soprattutto sceneggiatore e teorico dei più validi esempi del cinema neorealista, Zavattini lo invita nella sua Luzzara (provincia di Reggio Emilia), dove è attivo il Museo Nazionale di arte Naif e popolare, e si organizza con regolarità un premio di pittura, Lazzarini vince il primo premio per 15 edizioni, a cominciare dal 1983, e la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica, Pertini.
Dopo la parentesi del 1984, quando Menghino progetta insieme a Carlo Vannucci “Maghi, diavoli e scaramanzie”, carro firmato da Bocco Vannucci e Vasco Bazzichi (terzo premio), la “vacanza” si interrompe definitivamente nel 1991, con “Viareggio in maschera” (progettato per Renato Verlanti e Rossella Disposito, secondo premio): le maschere si aprono e mostrano diavoli; davanti un bambino bianco e uno nero. E’ il carro inaugura una proficua collaborazione con Renato Verlanti, già carpentiere per i carri di Giovanni e l’ultima fase, la più matura, dell’attività di Menghino.
A lui toccano l’ideazione e il progetto del carro; il Verlanti, ottimo realizzatore, traduce la creatività di Lazzarini in masse e movimento. La satira politica non è scomparsa, ma è meno assertiva e più raffinata. Nei colori primeggiano l’oro e il rosso, emerge l’aspetto decorativo e “ barocco” di quest’ultimo periodo. Ha ricordato Verlanti: “Sono stato per oltre dieci anni suo dipendente e poi abbiamo dato vita ad un altro tipo di collaborazione; lui mi mostrava l’idea e io gliela realizzavo. Ci si confrontava e alle volte ci si scontrava, ma poi ci riconciliavamo subito”.
Nel 1993 “Per me si va nella città dolente” manda all’inferno i politici rei di corruzione e conquista il secondo premio. Poi la coppia infila una sequenza di quattro primi premi consecutivi, dal 1994 al 1997. “Moby Dick” rappresenta la DC. La Balena Bianca, ferita a morte negli anni del declino della Prima Repubblica; “Vecchi fantasmi vagano sull’ Europa” è un grido di allarme contro il possibile ritorno dei totalitarismi e razzismi, quel nazismo simboleggiato da uno scheletro che porta la svastica; “Il tele-mostro” mette alla berlina la stupidità televisiva: i bambini, ipnotizzati dal piccolo schermo, trascurano i libri, dove sta la vera cultura; “Fate il vostro gioco signori” sviluppa un tema più filosofico: Re Carnevale ha un suo doppio, la morte ,che procede sule ali del tempo, simboleggiato da una serie di orologi.
Dopo il terzo premio del 1998 con “Rottami”, l’Italia che si sbarazza dei vecchi politici, quinta vittoria l’anno successivo con un carro di impostazione più tradizionale, “American Sexgate Show”, dedicato alle intemperanze amorose del Presidente americano Bill Clinton, rappresentato come un galletto. Nel 2000 un carro notevole, ancora pensato da Lazzarini e realizzato da Renato Verlanti e Luigi Bonetti, “Giubileo 2000: anche D’Alema in compagnia sfila a Viareggio e così sia” è imperniato sulla figura di un gigantesco D’Alema, alto 18 metri.
“Baffino”, diventato Presidente del Consiglio, si accredita come uomo d’ordine, cancellando il suo passato di comunista. Intorno a lui i cardinali Veltroni, Cossiga, De Mita.. Ci sono anche Romano Prodi, Andreotti, Berlusconi e Fini. Il carro deve accontentarsi del secondo posto, ma interpreta bene quel mix vincente caratteristico dei migliori carri viareggini: dimensioni imponenti, riconoscibilità, realizzazione accurata e cromatismo valido. Nel 2001 con “Attenzione ragazzi il diavolo c’è” la terna Verlanti-Lazzarini-Bonetti mette in guardia i giovani dai pericoli dell’abuso di droghe, fumo e alcool imbarcando sul carro eleganti figure femminili e diavoli ; nel 2002 “L’altra metà del mondo” sviluppa il tema degli squilibri planetari tra Nord e Sud.
L’ultimo carro ideato da Menghino è ancora squisitamente di satira politica. Ne “Le sinistre ossessioni del Cavaliere” (secondo premio) gli incubi di Berlusconi si concretizzano nella visione di magistrati a lui ostili, le “Toghe rosse”, che assumono le sembianze di enormi draghi e lo inseguono con avvisi di garanzia e sentenze, mentre lui fugge nudo.
L’avventura terrena di Giovanni Lazzarini si conclude il 17 marzo del 2003, poco dopo Carnevale. L’artista muore nel suo studio di Torre del Lago. Fino all’ultimo ha progettato carri: “l’anno prossimo – dice alla figlia poco prima di morire – ne realizzerò uno che farà epoca”.
Una curiosità finale. Nel settembre 2001, Giovanni Lazzarini aveva indirizzato una lettera aperta alla Fondazione Carnevale e alla stampa , nella quale annunciava il suo ritiro dalla manifestazione di Burlamacco. Questo “per ragioni di anagrafe e qualche acciacco in più”, ma anche “per non correre il rischio, a lungo andare, del compatimento e del patetico, entrambi per me detestabili”.
Infine, credeva di uscirne” abbastanza gratificato, pensando ai carri da me costruiti, ideati e progettati”. Di questa lettera aperta sono riportati ampi stralci nel volume di Adriano Barghetti “1994-2003- 130 anni di storia del Carnevale di Viareggio” (Pezzini editore, 207). Ma come sappiamo Menghino continuò fino all’ultimo a fornire idee per la costruzione di carri di Carnevale, che egli considerava “grandi giocattoli” per far divertire – e pensare – il pubblico.”
giornalista Umberto Guidi