Viareggio Mostra “APPRODI”
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2023
Giovanni Lazzarini ovvero l’argonauta
“NOMEN OMEN dicevano i Latini, ovvero un nome un destino ma il futuro di Giovanni Lazzarini, detto “Menghino”, non nascondeva nessun destino particolare se non quello del mare come tradizione viareggina; il padre Francesco, chiamato però Vivaldo, era un comandante di navi e Giovanni, già piccolissimo, lo accompagnava con il resto della famiglia nei viaggi a bordo del “Garibaldino 1°”, uno “scunere” armato a goletta, costruito da “Tistino”, fiore all’occhiello della Società di Navigazione Garibaldi che effettuava traversate da Genova a New York. Il salmastro scorreva già nelle sue vene ma, come vedremo in seguito, in modo diverso dalla classica marineria di Viareggio, perchè fino dalle scuole elementari subito si palesò il suo talento artistico.
La figlia Giovanna ricorda che il padre amava raccontare un episodio di cui era stato protagonista’ quando il maestro delle scuole elementari Lambruschini, l’aveva accusato di aver ricalcato il disegno di una farfalla e, un Menghino già battagliero l’aveva ridisegnato al suo cospetto, sicuro nel nascente talento e nel carattere che manterrà, pronto ad affrontare ogni tipo di sfida. La seconda guerra mondiale l’ha vissuta da militare addetto al rifornimento dei sommergibili e, i lutti, le battaglie, i morti nel mare lasciarono tracce indelebili sulle sue scelte future: sarà infatti il grande mare dell’arte quello sul quale vorrà navigare, fermandosi come un novello Argonauta a quegli approdi che ha avvertito essere più consoni al suo carattere tendenzialmente anarchico, ma che troverà una canalizzazione nella sinistra, anche extraparlamentare, degli anni prima e dopo il 1968.
Lazzarini fu senz’altro uno spirito inquieto e innovatore in ogni attività che intraprese, come quando trasformò la tradizionale osteria di famiglia in un “bar moderno”, acquistando un televisore, delle sedie dal cinema Politeama e trasformando la “casetta in fondo all’orto” dell’osteria in un punto di raccolta per quanti non possedevano un televisore. Ma quel mondo gli stava stretto e ciò era evidente anche agli occhi della moglie Bianca Maria Bonetti, sorella di Uberto Bonetti e della mamma Giuseppina Boeri, detta Beppina, e fu grazie alla comprensione e disponibilità delle due donne che si fecero carico della gestione dell’attività, che Giovanni potè dedicarsi a ciò che più gli premeva: l’arte che non aveva mai tralasciato.
L’arte a Viareggio significa anche carri del Carnevale, nel 1953 Menghino iniziò a collaborare con gli artisti della cartapesta e a questo punto cominciò anche la sua valenza di testimone storico di idee e situazioni oltre che di artista. Un Lazzarini che era vissuto nelle darsene di Viareggio, che aveva potuto vedere il duro lavoro del mare e in alcuni casi la povertà a fianco di una cantieristica del benessere economico, non poteva evitare di trasferire la sua esacerbata sensibilità sociale in ogni espressione artistica.
Ed ecco i suoi carri del Carnevale che sono stati dei veri e propri atti di accusa ad una società e ad un mondo politico completamente assenti sul sostegno degli ultimi, una lotta all’ipocrisia, al perbenismo, alla carità pelosa. Furono molto più che satira ma viva polemica che gli costò denunce e condanne in tribunale; fu persino sconfessato dai politici del Partito Comunista di allora che egli abbandonò senza il minimo rimpianto, per legarsi ad una sinistra meno istituzionalizzata. Possiamo allora allargare il discorso all’artista come testimone storico del suo tempo e comprendere come grande parte della poliedrica produzione artistica di Lazzarini si sia concentrata su quelle nodose figure di marinai di costa, così simili ai verghiani personaggi dei Malavoglia.
In quegli anni tempestosi anche altri artisti famosi partecipavano alla realizzazione dei carri di Carnevale: Renato Santini, Eugenio Pardini ed altri furono coloro che consigliarono Menghino sulle scelte artistiche che avrebbe potuto sviluppare nel corso della sua attività. Egli trascorse molti pomeriggi negli studi di questi artisti, portando con sé la figlia Giovanna ancora bambina, ma che ricorda bene le lunghe chiacchierate nelle quali il padre esponeva le sue idee ed ascoltava i consigli dei maestri, mentre lei si annoiava mortalmente.
Ma ogni esperienza aggiunge qualcosa agli animi inquieti e, mentre l’orizzonte artistico di Lazzarini si ampliava sempre di più, cominciò anche a viaggiare per lavoro, andando insieme ai carristi in ogni luogo d’Italia dove si tenesse un evento che richiedeva la loro competenza, addirittura in Venezuela, spesso ospite di Barsanti al quale lasciò molti dei quadri che aveva portato con sé nella speranza di venderli. Abitò anche a Firenze dove aprì uno studio e a Roma dove lavorò per il Teatro dell’Opera e ritrovò vecchi e nuovi amici; Adolfo Lippi, Ferruccio Bastoni, Franco Berardi, allora direttore della pagina culturale dell’Unità, personaggi del mondo politico e persino del cinema come Gian Maria Volontè, attore molto impegnato sul piano politico e sociale.
Si stava delineando sempre di più il suo spirito di “ Uomo- contro “ e di pari passo la sua crescita come artista a tutto tondo. Aveva già iniziato la serie degli uomini di mare e, in questo caso particolare, si deve parlare di testimonianza storica di un’epoca non lontanissima nel tempo ma quasi cancellata dal veloce scorrere degli anni. Per me le sue opere rappresentano una messe di ricordi sia negli olii che nelle opere a china e di grafica, gli uni dai colori netti e sicuri come le figure rappresentate, le altre bianche e nere, ad alto tasso emotivo, quasi incise nelle carte.
Quella darsena profumata di mare, di pece, di reti bagnate, di pesce, che aveva vissuto da ragazzino, riemergeva ora in un adulto consapevole di tanta fatica e povertà. Figure maschili e femminili quasi grottesche, dalle mani e piedi nodosi e sproporzionati, con gli occhi fissi, quasi appannati dall’attesa del pescato, oppure tristi per quelle sopracciglia inclinate all’ingiù o persi nel vuoto dei ricordi. E Lazzarini ha ricreato i luoghi, le figure, i fatti significativi di quei periodi, popolando le sue opere di scorci ben conosciuti dai viareggini: il molo, gli scogli, la fontanella dell’acqua, il mercato del pesce, le luci delle lampare di notte che sembrano replicare le stelle del cielo, Piazza delle paure, il rientro delle vele, i vecchi al moletto della Madonnina, la statua di Lorenzo Viani circondata dalla sua gente. Quei luoghi erano abitati da una comunità corale, spesso silenziosa, con poche bocche aperte alla parola perché erano i volti e le azioni a parlare: nella tela che ricorda una manifestazione del 25 aprile, realizzata nel 1984, c’è tutta la Viareggio di un tempo sia per la consapevolezza politica, sia per quelle persone che ancora avevano degli ideali, sia per i luoghi e i simboli rappresentati.
Nella “Processione del Gesù morto”, una tavola a china, si ritrova il rispetto per la tradizione religiosa, anche s contraria alla propria ideologia, che però univa tutti i cittadini in un momento e un rito altamente simbolici. Le chine relative alle processioni sono intensamente coinvolgenti, così vere in quella pluralità di figure che sembra quasi di sentire i canti corali e vedere il lento oscillare delle persone al passo dietro al crocifisso. E poi come non ricordare le istantanee di momenti oggi presenti solamente nella memoria di chi li ha vissuti!
Quelle figure dagli abiti che rappresentavano quasi le uniformi del loro lavoro, contorte come i legni straccati dal mare sulla spiaggia e bruciate dal vento e dal sole, nelle tele hanno quasi tutti degli incredibili occhi azzurri che riflettono il mare della loro vita, come capitava spesso di osservare nei volti incisi dalle rughe di vecchi pescatori intenti a chiacchierare o riposare sul molo della Madonnina. Altrettanto si può dire per la tela dei “ Pescatori che rammagliano le reti”, un’altra opera che documenta l’attività svolta allora prevalentemente dagli uomini, che tenevano la rete da riparare tesa tra le mani e le dita dei piedi, oppure per il ricordo di tutti i tipi di pesca praticati allora da molti e oggi solo da alcuni nostalgici e ancora i corpi muscolosi dei calafati e maestri d’ascia, figure ora quasi scomparse e ricordate solo nelle targhe affisse nelle darsene.
E le figure femminili, meno contorte di quelle maschili, pur se la loro femminilità era svanita presto, rappresentate alla fonte per l’acqua, alla vendita di pochi pesci , dietro la processione oppure in casa, avvolte da scialletti e gonnelloni per combattere il freddo delle abitazioni nelle quali l’unica fonte di calore era il camino. Questa parte della produzione artistica del Lazzarini è “narrativa pittorica” perché è il racconto di tempi ormai lontani, ma è solo uno dei punti di approdo del Nostro perché anche nella scultura egli ha trasferito i suoi personaggi: forme compatte che, anche nel riposo, sembrano sprigionare forza muscolare e al contempo il sonno della stanchezza, ma pure agili figure di giovani, bronzetti relativi alla pesca.
E perché non trasferire questi suoi figli d’arte ad un approdo? Le vetrate, ovvero gli affreschi su vetro, sono una luminosissima prova d’artista che si unisce al tema dell’affresco su muro, come quelli che ha realizzato per il 90° anniversario della Fondazione della Camera del Lavoro Territoriale della Versilia, per la Chiesetta dei Pescatori creata da Don Sirio Politi e il murales che si trova a Luzzara in Emilia Romagna, sul muro dello stadio dedicato a Zavattini e chiamato Zavattinia.
Ma lo spirito inquieto di Menghino aveva necessità di ritornare ogni tanto ai vecchi amori e allora dipingeva su tela quelle maschere carnevalesche rutilanti di colori, oppure una combinazione geometrica di forme e cromie nelle quali ritrova forse lo spirito libero e allegro della tradizione carnevalesca. Sempre di più però si delineava la sua eclettica personalità artistica che era passata da un espressionismo atipico ad altre esperienze nelle quali restava comunque qualcosa del suo passato.
Lo storico d’arte Wilhem Worringer aveva individuato i punti salienti dell’espressionismo nella valorizzazione dell’arte popolare e folkloristica, nella liberazione della forza del colore, nella distorsione ed esagerazione dei tratti somatici, nel ritorno ai primitivi e soprattutto in un’arte che esprima ciò che si vede anche col cuore. Certamente Giovanni Lazzarini ha realizzato tutto ciò nella maggior parte della sua carriera artistica, tuttavia ha continuato a cercare nuovi approdi sia nella scultura che nella particolare esperienza del fumetto.
La sua scultura si è fatta più elaborata, ricca di eleganti riferimenti mitologici interpretati in chiave molto personale, ma particolarmente interessante è la serie dedicata alla maschera ; “…Il riferimento alla maschera perde qui la prerogativa di occultamento, di ritualità o altro, per vivere una sua autonomia di scultura-maschera, che vive per se stessa, che mostra se stessa. Sculture come oggetti di comunicazione visiva sì ma anche forme di introspezione, di riflessione del pensiero”.
Sono parole di Lazzarini che racconta se stesso e la sua idea della maschera, rapporto in cui si inserisce anche la scultura primitiva e africana, a conferma di una sua tendenza artistica espressionista. L’Argonauta aveva però altri due porti ai quali dirigere la nave della sua vena artistica: i già citati fumetti e la poesia. La combinazione del suo talento con la vena satirica lo ha portato inevitabilmente alla realizzazione di fumetti vagamente surreali, in cui la forza cromatica irrompe sulla tela e sulle carte in una fantasmagoria travolgente di immagini: è lo spirito libero e sempre alla ricerca di nuovi approdi che conduce Lazzarini a questa ulteriore espressione artistica, molto diversa da quella poetica.
La sua poesia risale, come documento pubblicato, al volume “Lazzarini; opere di grafica e poesia” con prefazioni di Alfonso Gatto, Dino Villani, Roberto Bernabò, che raccoglie incisioni, matite, carboncini e chine dal 1978 al 1993 e una silloge poetica dal 1997 al 1998. In queste poesie si ritrova la summa del pensiero di Lazzarini, le sue considerazioni sulla vita, l’avvicinarsi del tramonto della vecchiaia, la trasposizione in versi della sua ideologia politica, il senso della solitudine, il mare visto in tutti i suoi aspetti, i temi che nel corso della sua vita lo hanno accompagnato. Sono versi pervasi dalla malinconia per ciò che è stato e per ciò che sarà: “…A prua/un suono/libero e dolce di chitarra/un canto. “Addio Lugano bella” si alzava/su nel cielo/intrecciandosi al volo dei gabbiani, A quei voli/a quei canti di libertà/ci lega il nostro passato. A quei voli/a quei canti di libertà/ci lega/la speranza/del nostro futuro.” ( Canto di libertà 1998 ). “Dicono/che tutte le cose belle hanno un profumo, Dicono/che le cose belle hanno un’anima. L’anima del mare” ( L’anima del mare 1998) “…Restare solo/sul molo. Lasciarsi avvolgere/dalle voci del passato, Cercare dolenti emozioni/per farsi solo del male, Ferirsi di solitudine.” ( Solitudine 1998 ) . “ ascoltare/nel canto del fuoco/di monsoni e alisei…Scoprire/nel canto del fuoco/le nostre radici.” ( Le nostre radici 1998 ). “…Nulla. Scoprire/la Morte/più forte di Dio. Scoprire/il Nulla/più forte di tutto.” ( Nulla 1998). E con queste parole del nostro Argonauta, con la poesia come ultimo approdo del suo lungo navigare, chiudiamo questo omaggio all’Artista Giovanni Lazzarini: “…Pensieri alla deriva. Come/un gioco/giocato sull’orlo dell’abisso/una vertigine folle/solo/nella speranza di un approdo/verso il delicato/stupefacente/prodigio dell’arte.” ( Pensieri alla deriva 1998 ).”
Storica e saggista Marilena Cheli Tomei