Raffaele de Grada

LA MEMORIA COME IMMAGINE DI GIOVANNI LAZZARINI

12/1984

“La prima impressione che provocano i dipinti di Giovanni Lazzarini è quella di uno spettacolo, di quelli spettacoli con tanta gente affollata come quando si recitava il Fra’ Diavolo nei paesi di Toscana: “ Sparafucil-mi no-mi-no”, diceva invece il nonno milanese. Perciò Lazzarini ti mette subito a tuo agio, la sua non è una pittura museale, aristocratica, imbalsamata. E’ una pittura tutta scoperta, narrativa e perfino trascinante nell’interesse che provoca.

Eppure , appena lo sguardo si fissa su un’opera e inizia quel processo di riflessione nel quale cresce dall’interno il vero gusto dell’arte, ecco allora apparire in una scena di rammagliatori di reti sullo sfondo di mare o nel turbinio di una tempesta con le famiglie disperate sulla banchina del porto, ecco fiorire dai volti rugosi, caratterizzati dalla tensione, quel serrate, quell’accostamento compositivo inquadrato e potente che si esprime dal grande affresco quattrocentesco com’è quello, uno per tutti, della camera degli sposi di Andrea Mantegna. Il richiamo al genio del Mantegna non vuole essere evidentemente un’osservazione critica a riguardo di Lazzarini E’ soltanto un richiamo alla capacità di questo pittore viareggino di saper accostare con grande significato narrativo più figure in un discorso, che è un discorso profondamente sentito da chi ha vissuto il periodo della guerra e della Liberazione, con gli anni che immediatamente seguirono.

Non è facile oggi trovare un pittore che non sia isolato nella sua vena lirica, che non canti per se stesso o per pochi. Lazzarini non suona col flauto, intona con l’organo, strumento del collettivo ,narrazioni di pescivendoli, di pescatori, di calafati, di rammagliatori di reti e, ogni tanto, trovandosi come per caso nel “salotto buono”, Lazzarini, invece del fondo di mare, eleva dietro alla sua figura (ma allora la figura è isolata) una parete, una tessuta e illuminata parete, commento favolistico all’ambiente.

Anche le figure isolate di Lazzarini hanno sempre però il senso corale del mare, il mare che non è tanto quello di Ulisse quanto quello di Enea, il mare che sta dietro alle sue donne che si portano un granchio e che non si presta mai troppo all’avventura. ( Ulisse affronta sempre il mare come fosse un grande divertimento; per Enea il mare è una triste necessità imposta dal fato). Giovanni Lazzarini da ragazzo, ha fatto il rally del Mediterraneo con la famiglia al seguito del padre che comandava un veliero il “Garibaldino 1”, costruito dalla Cooperativa dei Carpentieri viareggini.

Chi vede oggi queste vecchie con lo scialle nero, questi pescatori che i sbucciano il muscolo ( si chiamano anche cozze) per mangiarselo con la goccia di limone, appena strappato dalle impalcature del pontile, che Lazzarini dipinge, sa che cosa ci sta dietro: tanto una cultura “ europea” quanto l’ esperienza di un porto come Viareggio, così come ci è rimasto nella descrizione che ne ha fatto Lorenzo Viani ne il Bava, un romanzo di vita marinara unico nel suo genere.

Giovanni non ha fatto il marinaio per caso, per un difetto di vista ma nulla a lui, giovane disegnatore, è sfuggito della scienza nautica. E’ l’ istinto che l’ ha portato a disegnare, com’ egli dice nell’ autobiografia, barche e barche, fogli che sono andati purtroppo perduti come vanno perduti i pastelli di madonne sull’ asfalto. Se anche questi disegni sono andati perduti, credo tuttavia che di ciò sia rimasto nella pittura di Lazzarini il senso classico dello sfondo marino, che sta quasi sempre dietro ai suoi quadri: dietro le mamme alla fontana, nel lontano della lettura notturna sotto la lampada, come l’ ala di angelo sempre il bruno affocato del primo piano. I motivi di Lazzarini germinano dal mare, il mare di uno che lo conosce bene e che lo ha viaggiato.

Non è il mare delle marine di tanti pittori per cui la massa equorea è soltanto” veduta”. Bisognerebbe scrivere un saggio su come i pittori dipingono il mare. Lazzarini lo dipinge come alcuni pittori olandesi e inglesi del Sei-Settecento, il mare grande e procelloso, il mare pericoloso, il mare dove è sempre possibile fuggire dalla noia degli uomini. La noia degli uomini di mare, pescatori, calafati, marinai, ecco un altro dei contenuti di Lazzarini.

Questi uomini immobili che guardano’ Fisso davanti a loro, che stringono nelle mani qualcosa che non si capisce bene, maglia di rete o coda di aquilone, mentre i pesci sbucano dalle ceste con la faccia curiosa, come a vedere che cosa è successo e intanto la luna in fondo illumina le vele e increspa il mare. Di queste” attese” notturne di pescatori, i pesci sono protagonisti. Chi penserebbe che questi pesci attori, tanto più vispi degli uomini, possano essere ben presto commestibili? E’ un pensiero orribile.

Il mare come lo dipinge Lazzarini è assai diverso da quello cui ci ha abituato la pittura contemporanea. Quante volte abbiamo visto nei quadri dei nostri pittori il Canal Grande , la laguna di Venezia? Il mare dei pittori viareggini è tutta un’altra cosa. Intanto nessuno di loro ha mai dipinto il mare “solo”. Non ho mai visto una “ marina” di Lorenzo Viani. Ho visto invece molti mendicanti di Viani , sulla spiaggia, con il mare nel fondo.

I mendicanti di Viani, dati i tempi, sono diventati in Lazzarini pescatori e marinai, colti in tutti gli atteggiamenti possibili, ora ravvolti negli ampi mantelli sul molo del porto ora in disperazione di fronte al mare in tempesta dal quale spunta, nell’ aureola dell’ ex voto, la Madonna col bambino che salveranno i poveri legni in balia dei flutti.

Un quadro come quest’ultimo potrebbe essere preso come manifesto per una mostra di ex- voto. Ci starebbero benissimo delle lettere tipografiche ad aggiungere corpi fermi alla monumentalità, alla potenza della scena.

Continuando il confronto, che mi sembra necessario, con l’arte del caratteristico che Viani assunse dalla fine Dell’Ottocento trasformandola con la sua energia esplosiva, Lazzarini porta all’estremo l’orizzonte aperto di Viani.

La scena del tutto comune di un popolano che apre il giornale o di un marinaio pensoso sulla costa mentre le onde spumose sballottano i velieri, si trasforma nello straordinario di una leggenda vichinghi. Un’ espressioni simile la provavo quando da ragazzo leggevo i libri di Salgari che si aprivano con un povero naufrago in pieno oceano gridava “ Help ! Help!, aiuto, aiuto!” miracolosamente dalla nave dell’acconto c’era un nostromo che lo sentiva e poi lo salvava. (Più tardi, in modo meno infantile, la stessa emozione me la dava Il Tifone di Conrad , uno dei più drammatici testi di tempesta Marina).

Quella di Lazzarini è quindi una pittura piena di rappresentazione e pertanto la sua forma è segnata, scritta non lascia alcun spazio all’informe . La rappresentazione di Lazzarini ha tuttavia qualcosa di sudamericano, alla Orozco, e prima ancora di medievale, perfino barbarico.

Io credo che per questo suo vizio-virtù Lazzarini sia stato trascinato a dipingere le maschere immani del Carnevale Di Viareggio, per anni e anni e tra questi quelli turbolenti seguiti al 1968, dove tutto fu possibile e un carro di Lazzarini ARRIVA MAO fu considerato una meraviglia della dissacrazione, quella dissacrazione che in breve volgere di tempo gli fece collezionare denunce e anche una condanna del Tribunale di Lucca (l’unica, si crede, nella storia del Carnevale dove, come si vede, ogni scherzo vale). Si avverte oggi- se non lo si sapesse- che Lazzarini e stato un protagonista del Carnevale Di Viareggio dal 1953 al 1976? Credo proprio di sì e prima di tutto per la originalità e riconoscibilità delle sue maschere.

Questi pescatori con le reti sulle spalle, queste donne con la cesta piena di aguglie sul capo, incedono verso di te con quel dondolio pauroso delle maschere che fanno paura ai bambini e, con quegli occhi fissi, mettono disagio nei grandi, negli adulti.

Lazzarini ha avuto un fiuto eccezionale nel capire la suggestione che potevano provocare personaggi, queste donne con gli scialli a fiorami e il Rosario nelle dita, che sembra non si occupino di niente, questi marinai che aprono il giornale come fosse il primo giorno che lo leggono, questi pescatori aggruppati come fossero in permanenza in una manifestazione rivoluzionaria.

Certo, Lazzarini dà l’impressione di aver rinchiuso in un salotto, di aver accostato su una spiaggia appena che ha fatto sfilare come carri di un carnevale. Sempre alla sua pittura conserva quell’aura surreale, quel senso di tabula rasa rispetto ora alla pittura tradizionale che è propria di colui che è uso al formare e al colorire la cartapesta.

Dal 1976 Giovanni Lazzarini si dedica però completamente alla pittura e alla scultura. Gradualmente si fa conoscere dal pubblico , dalla critica e da qualche mercante intelligente. Lo fa con grande meditazione, senza compiacimenti verso le burocrazie delle arti (credo del resto che questa a Villa Paolina sia la prima mostra “ufficiale” Lazzarini ormai non più giovanissimo) e soprattutto senza timori di perdere l’autobus della attualità.

La prudenza di Lazzarini non è mondana, viene dalla volontà di stabilire un giudizio sul reale prima di procedere alla sua rappresentazione. L’ immagine di una figura in un interno, una semplice “natura morta” di pesca e oggetti sul molo, una figura sdraiata sulla riva in cospetto del mare, sono altrettanti impegni figurazione, mai ripetibili nello stesso modo, mai affidati affidabili alla rapidità dell’impressione. Lazzarini è personalità laica; eppure nella sua pittura, in quelle accolte di marinai che sembrano sempre in preghiera, in quelle donne ieratiche recanti piatti di pesce in un corteo di gatti diavoleschi, nella stessa apparente volgarità dei mangiatori di muscoli, che sembrano tanti santi Pietri del Caravaggio, ci sento una religiosità popolana che oggi è tanto poco conformista.

Mi piace appunto Lazzarini perché è fuori ”moda”. Mentre si svolgevano tutte le piccole fasi della Moda da Phases a Fluxus, Lazzarini ha creduto nella cultura che veniva dal popolo. Queste sue osterie, questi suoi affollamenti al porto, questi suoi gruppi di di marinai sotto volo dei gabbiani sono espressione di una cultura realista moderna, interpretata da lui in piena libertà.

Ma cultura, non moda. Dovremo ancora, nel 1984, soffermarci a spiegare che differenza esiste a una moda e la cultura? Il Rinascimento, il Manierismo, il Barocco, il Neoclassicismo, il Romanticismo, l’Impressionismo sono “cultura” le infinite piccole tendenze inventate dal mercato con l’aiuto di qualche critico sono invece di “moda”. Si aderisce a una cultura per necessità espressiva, a una moda invece per comoda convenzione che catturi pubblicità e mercato.

Purtroppo oggi più che un clima di cultura, noi respiriamo i miasmi della moda. Essa accende lampadine che presto si spengono, che fa credere a valori che assolutamente non esistono. Compito del critico sarebbe di spiegare, chiarire ciò che veramente riflette la vita che ci circonda e ciò che resta invece inerte scoria di un accadimento pubblicitario più o meno avvertito e fortunato.

Giovanni Lazzarini in verità non ha niente di cui lamentarsi: l’ imperialismo culturale delle grandi mode e del grande mercato non è giunto a soffocare la sua realtà viareggina, dove Lazzarini può mantenere intatta la tradizione di Lorenzo Viani, che a sua volta fu un sacrificato dalle mode culturali del tempo. Il suo stile in pochi anni è continuamente migliorato, cosicché Lazzarini è oggi un artista bravo oltreché vero.

Le sue chine serrate, complesse nelle differenze del segno, danno l’impressione di essere fatte per durare nel tempo, fuori dal concetto di “impressione” che ci è fornito da tanta parte dall’ arte contemporanea. I disegni con inchiostro di china di Lazzarini paiono a volte per la loro composizione, per l’ escavazione tipologica, per lo spirito che li pervade una citazione di Lorenzo Viani, assai più che i quadri. I disegni di Viani, a loro volta, furono una eccezione (sottovalutata) nell’ Italia “metafisica” e novecentesca degli anni del fascismo. Non sono molti a ricordarseli, oggi, quei disegni di Viani. Vedrebbero, al confronto, che la deformazione di Lazzarini è diversa, ha una linea serrata e insistita in rapporto a quella più disperata e vaga di Viani. E ‘una calligrafia diversa, se vogliamo anche una ortografia con altre regole, meno sbavate (del resto Viani, quando scriveva, lo faceva in dialetto viareggino precedendo Pasolini e tutti gli scrittori dialettali), più acute, puntute e rigide.

Direi stilisticamente, che queste “ chine” di Lazzarini, con questi titoli così preziosamente locali ( “La Patana”, “Piazza delle paure” che è poi la piazza con il monumento ai Caduti fatto da Viani e Rambelli ) hanno qualcosa del Tallèr de Gràfica Populàr di Antonio Posada e dei messicani. Ci sono mostre inutili e mostre utili. Questa di Giovanni Lazzarini è tra quelle utili, che ci auguriamo non finisca a Viareggio, per quanto importante sia questa località.

Io sono tra quelli che considerano che l’ arte italiana di oggi abbia valori tra i più alti nel mondo e che un artista come Lazzarini potrebbe benissimo affrontare una competizione internazionale. E’ vero che noi in Italia vediamo oggi ben poco di quel che si fa nel mondo di nuovo, dato il carattere assai accademico delle esposizioni pubbliche e le condizioni di scoraggiamento legislativo sopportato alle gallerie private. Da una politica liberista di scambi un artista come Lazzarini avrebbe tutto da guadagnare, affrontando la concorrenza internazionale.

Io ritengo che Lazzarini, che qualcuno nel passato, più perché il pittore ha cominciato tardi che per un fatto stilistico, ha considerato nel gruppo dei Naifs, sia una delle presenze del nuovo “realismo” dell’arte d’oggi. Particolarmente nei disegni, in queste chine che sono condotte con un eccezionale scrupolo dei particolari (fuori da quell’“informe” che dà tanta noia), con una incisività così emotiva come si vede in Sul molo da Lorenzo Viani, le pesciaie, ecc.

Che posizione ha Lazzarini nell’attuale panorama dell’arte in Italia? Diciamo pure che in Italia non sono tanti quelli che descrivono i fatti della vita, che rappresentano il collettivo, donne alla fontana, il rientro delle paranze, la gente ammucchiata sulla darsena. Questi disegni si immedesimano tanto nel clima viareggino del recente passato e costituiscono un patrimonio prezioso non solo per l’arte ma anche per il costume. Non sono soltanto disegni pittorici ma teatro, cinema, televisione. In tal senso queste “buriane” degli elementi scatenati (“ buriana” dà il senso della tragedia, della generale confusione), queste letture serotine del giornale, questi masacceschi incontri di donne col piatto del gambero e il mare nel fondo, superano di gran lunga l’ arte, pur valida, che si fa in provincia.

In genere gli artisti come Lazzarini sono puniti, perché non hanno raggiunto alti valori di mercato e d’ altra parte non sono “giovani” . Quando la spartizione del bottino è fatta, le istituzioni culturali, per dimostrare la loro apertura e benevolenza, chiamano i critici giovani che devono aprire agli artisti “giovani”. Ma come si farà a chiudere ai “giovani” quando i valori migliori della visione sono proprio di artisti che , come Lazzarini, sono maturati negli anni adulti? Lazzarini non dipinge da molti anni, ma la sua è già una mostra “storica”. Se non altro, a seguire i suoi temi, i suoi soggetti, si fa la storia di questa società di pesciaiole, donne che attendono sulle banchine del molo, di barche che escono e rientrano e poi , nelle case, le vecchie che cuciono, che pregano, che aspettano.

In rapporto ai personaggi di Viani, questi di Lazzarini sono meno miseri; se anche fanno una vita altrettanto dura tra rammagliare reti e preparativi di pesca, la loro povertà non è così attanagliante come al tempo di Viani. Sono dipinti con grande perizia. Nessuno è più esperto di Lazzarini nel rappresentare, direi con un taglio ideologico, che è quello di particolare proletariato di una città di mare, questi “interni”, queste “barche con le lampare”, questi “pescatori di cee”.

Come spesso avviene quando si vuol essere massimamente fedeli alla descrizione del reale, le composizioni di Lazzarini assumono il valore di affreschi simbolici, adattissimi a una Casa del Marinaio, del Pescatore. Un ‘olio come il Mercato del Pesce poteva essere un bellissimo affresco alla Triennale del 1933, quando Mario Sironi pensò di dare muri ai pittori. Con tutto ciò che di messicano ci può essere ancora in questi grovigli agitati sullo sfondo marino, in queste a ammucchiate sulla banchina del molo, Giovanni Lazzarini è un pittore assolutamente italiano.

Oggi, quando la moda americana cerca di schiacciare i nostri valori reali, noi appezziamo come non mai la fantasia popolaresca dei carri del Carnevale di Viareggio dai quali escono le grandi figure di Lazzarini che sono una sorta di cassa di risonanza dei sentimenti intimi dell’artista. Qualcuno di questi quadri ha un aspetto totalmente nuovo. Rispetto a ciò che si fa normalmente. Si veda questa ”natura morta”, con i pesci sul molo. Chi ha mai fatto una “natura morta”, in un esterno come questo, in questo modo sobrio, “fiammingo”, profondamente realista dell’oggetto? Ritengo che una “natura morta” di questo genere dovrebbe, se non altro per la sua novità, essere acquisita come esempio da un museo. L’artista c’è e il pubblico intorno a lui si sta formando.

Giovanni Lazzarini è anche scultore, assolutamente moderno, per niente archeologico, come sono tanti scultori Sembra che l’artista abbia sottratto alle sue composizioni in pittura alcune figure e le abbia consegnate alla posa eterna del museo. Sono come le figure dei carri carnascialeschi, sottratte al contesto e rannicchiate nell’umiliazione. Nel complesso della mostra , queste sculture hanno uno spicco eccezionale per la sintesi di protesta e di malinconia che esse portano con se. Il modellato di queste sculture ha vinto tutto il liscio, il banale che si trova di solito in queto tipo di scultura che può ricordare le figurette dei sopramobili tanto diffusi nelle case bene. Qualcuna, come quella rannicchiata che urla, è perfino sconvolgente.

I disegni a carboncino di Lazzarini sono assai diversi dalle chine, essi sembrano preparazione per affreschi, per grandi composizioni. Figure di lavoratori, di marinai, di donne in attesa, questi disegni sono lontani dal tono di dilettantesca spontaneità che il cosiddetto “graffito” all’americana ha oggi messo in circolazione. Senza essere strettamente vianesco, il disegno a carboncino di Lazzarini è toscano in tutto il suo essere, profondamente anarchico, come si usa da queste parti, nel contenuto e liberissimo nella forma. A differenza delle sue chine, Lazzarini nel carboncino non ama gli accostamenti delle figure, lasciando lo spazio al chiaroscuro, che riempie i vuoti e il mistero. Poi ci si accorge che per i quadri, ad acrilico e a olio o materia mista, a Lazzarini servono più i disegni a china, cosi’ descrittivi, che i suoi carboncini, che sono definiti in se stessi. Come stile è quello che proviene dal romanticismo, ma senza presunzioni di eterno, bensi’ descrittivo di situazioni pressoché illustrative, confermando la sua disposizione realistica.

Giovanni Lazzarini presenta ora nella sua città un’antologia della sua opera, in un momento in cui il grande pubblico è finalmente annoiato della ripetizione dell’”avanguardia” e molto sospettoso circa le riprese della pittura attraverso i così detti Nuovi Nuovi, neoespressionisti da strapazzo. Bisogna d’altra parte convincere il pubblico che non è assolutamente necessario passare dalle squallide lande delle ripetizioni avanguardistiche all’accademismo ipermanierista che tende ad attestarsi a moda del presente. Lazzarini è un artista “diverso”; il suo mestiere virtuoso di esperto autore carnascialesco si è affinato sulla cultura che dal mondo dei “vàgeri” di Viani e di Pea ha percorso questa regione d’Italia attraverso Marcucci, Rosai e altri fino a oggi, sempre con un occhio al museo e un gran timore dello sperimentalismo.

La trasgressione, per Lazzarini, è insita nei soggetti, nei contenuti , non è un fatto formale. Lazzarini non cerca bizzarrie espressive perché vuol parlare un linguaggio che deve essere capito. Pertanto egli non nega affatto ciò che gli altri fanno, ma vuol rivedere il pittorico scegliendo per il popolare, senza essere necessariamente un realista ideologico. Sappiamo con quanta difficoltà negli anni cinquanta abbiamo dimostrato che un artista, per essere popolare e realista, non doveva essere necessariamente un ideologo marxista. Si è poi capito che basta rivivere la memoria come immagine, basta dar frutto all’albero le cui radici affondano nella nostra infanzia e adolescenza (per Lazzarini la vita del mare e del porto), per fare arte che non sia legata all’angoscia della moda e dell’attualità tecnologica, che respiri di quel fiato dell’eterno che ci sta dentro dalla nascita e che ci lascia soltanto con la morte.

Lazzarini si guarda intorno e vede che nella sostanza la vita della propria infanzia non è mutata. L’umanità è andata avanti ma, come in un cerchio, per ritornare ai medesimi luoghi della vita, percorsi generazione dopo generazione. Che cos’hanno scoperto di nuovo gli uomini? Giovanni Lazzarini ha studiato e ha trovato uno stile che senza scoprire nulla di formalmente trascendentale sa raccontare con intenso e profondo amore una tipica vicenda com’è quella di un porto e della sua gente.”

Raffaele de Grada 12/1984.