Non è facile ricordare, dopo decenni, fatti e persone lontane nel tempo. Ma la memoria di Menghino è nitida e non si cancella. Per me è stato Giovanni, anche se Menghino è divenuto il suo nome vero, per tutti trascinato dal bar trattoria dove si mangiavano le chiocciole e che Giovanni gestiva con l’amata moglie Bianca. Ma lui lavorava soprattutto nella sua bottega di pittore e di costruttore di carri di cartapesta . Un uomo polivalente in tutta la sua vita, fatta di infinite esperienze e di passioni forti.
Intanto era un comunista di quelli veri, fin dalla nascita. L’ho conosciuto subito, nonostante i vent’anni di differenza, perché eravamo vicini di casa e soprattutto per la frequentazione del Partito. Interessi culturali e politici si accomunavano, dalla storia all’economia, alle lotte di liberazione nelle colonie africane, alla lotta di liberazione dalla feroce guerra del Vietnam. E la che ci aveva resi amici ci divise con asprezza, con la rottura a fine anni sessanta del Manifesto di Rossanda e Pintor. E toccò a me, con altri, votare la sua espulsione dal Partito nella Sezione più numerosa e agitata del centro città. E questo non incise nei rapporti.
Menghino mi regala quadri della sua pittura uscita da tempo dai confini locali. E c’erano i cantieri della darsena, e le navi, e i marinai con le nocche nodose, inverosimili ma piene di forza: la forza della vita grama, della miseria consumata in casa nell’orto sotto il grande fico, con il gatto sulle gambe e la moglie accanto, con la mantella di lana fatta a mano: una Viareggio reale che stava scomparendo. Un pittore, un artigiano-artista della cartapesta da sempre anticapitalista nella formazione e nelle letture: controllava tutti i numeri della rivista di Pechino, con la sua carta fine di riso, che veniva distribuita dai “cinesi” nelle file comuniste.
E allora ecco la costruzione de ”Il Padrone” nel 1968 e il mastodontico “Arriva Mao” il gattone enorme di peluche rosso. Innovativo nella tecnica dei movimenti, nei colori nei materiali. Rivoluzionario sempre Giovanni, nel dibattito e nella realizzazioni, nelle sculture di bronzo di pescatori orgogliosi delle loro reti e anche di “omini” accovacciati, provati dalle fatiche del tempo. E poi ancora, i colori variopinti delle vetrate e, da ultimo, i cartoni grandi del fumetto sotto l’influenza giapponese. Un’esperienza aperta, continua, di un intellettuale con gli occhiali piccoli, tagliati, e gli occhi sempre sorridenti e sgranati verso il mondo.
Arte e politica sempre intrecciati nel mondo ma anche nella città di Viareggio che Giovanni ha vissuto nelle pieghe dei rapporti: i marinai sì, ma anche i preti operai della Chiesina sul Burlamacca con il murale ed il potente Cristo; e poi gli operai tuti con il grande murale sulla terrazza della casa del Sindacato. Che dire: un intreccio di arte e politica, di generosità e di affetti che ritroviamo in tutte le mostre, tante di quella bellissima che gli ho organizzato nella casa della Compagnia dei Portuali di Livorno, a quelle di Luzzara, di Roma e così via. E i cataloghi che conservo ancora: alcuni sono libri con frammenti di poesie. Un Giovanni a tutto tondo che negli ultimi anni, salvo qualche fuggevole conversazione a cena, ho trascurato. Ed oggi ricordandolo me ne pento.
Sen. Sandro Lippi